Un Sabato da Leoni – Matteo Luzzi

La prima edizione della 6 ore di Spoleto si svolge sabato 2 Giugno, festa della Repubblica ma anche giornata in cui l’Italia vuole sentirsi vicina alla gente dell’Emilia colpita dal terremoto, nella splendida città umbra che dà il nome alla gara. Questa corsa ha caratteristiche per me ottimali, sia per la collocazione nel calendario, sia per la lunghezza, perfetta per la mia attuale preparazione, sia perché si tratta di un circuito da ripetere, cosa che mi permetterà di non essere mai troppo lontano dal punto di ristoro in caso di crisi. Nonostante questa sia la prima edizione della gara e la partecipazione non sia numerosa, mi appare subito evidente la buona organizzazione generale dell’evento, sia per la quantità e per la qualità del personale impegnato oltre che per l’entusiasmo e la simpatia trasmessa dagli organizzatori. La città è bellissima, un equilibrato connubio tra storia, cultura e modernità. Il centro storico è tutto in fermento, anche grazie alla festa dei “Vini nel Mondo” che è in corso di svolgimento, con bancherelle che vendono i prodotti tipici del luogo, palchi con gruppi musicali e gente ovunque. La gara si svolge nella parte più alta, sopra la festa paesana che si svilupperà sotto di noi, in un circuito cittadino di 1081 metri che gira intorno alla Torre Albornoziana, da percorrere in senso antiorario. Da un lato si sfiora il Duomo e si domina la città sottostante, oltre che diverse decine di chilometri quadrati del circondario, dall’altro lato si costeggia il boscoso Monteluco con vista sul bellissimo ed imponente ponte medievale. Prima della partenza, fissata per le ore 14:00, ho tempo di stringere occasionale amicizia con diversi partecipanti alla corsa; subito noto che, oltre ad un paio di romani ed un senese, quelli con cui parlo sono gente delle vicinanze e che praticamente tutti sono reduci dalla 100 Km del Passatore. Al via una ottantina di partenti di cui 12 si cimentano nella prova della maratona mentre tutti gli altri affrontano la distanza delle sei ore. Il circuito non è esattamente pianeggiante, ma presenta una salita di circa duecento metri, impegnativa ma non su pendenze impossibili, direi intorno al 5%. La discesa per tornare al punto di partenza è decisamente molto più dolce. La temperatura, per uno come me che non disprezza il caldo ed il sole, è buona, tra i 22 ed i 26 gradi. Una buona parte del percorso si svolge comunque all’ombra di alberi o del colle intorno a cui gira il circuito. Fin dalla partenza capisco di essere nelle prime posizioni; decido comunque di correre tranquillo le prime due ore al ritmo che avevo pensato, leggermente inferiore ai 5’00”/Km, per poi cercare eventualmente di velocizzare un po’. La classifica viene costantemente aggiornata e presentata su uno schermo ben visibile. Capisco così abbastanza presto di essere primo con un buon margine di vantaggio. Questa situazione, per me nuovissima, viene continuamente confermata dall’agitazione di mio padre che ad ogni giro si alza in piedi per salutarmi, incoraggiarmi, aggiornarmi sulla posizione o passarmi qualche zucchero o qualche bottiglietta fresca di sali da bere. Alla partenza mi sentivo fresco ma abbastanza agitato; con il passare dei giri la tensione è andata piano piano via, lasciando il posto alla naturale stanchezza della prova; contemporaneamente mio padre diventava sempre più nervoso e spossato dalla emozione del momento. Il colpo di pistola finale mi trova svuotato di energie fisiche e mentali e mi occorrono diversi minuti per ritornare al punto di partenza e ricevere i complimenti dei presenti come primo classificato, per me una piacevole ed inaspettata esperienza. L’euforia del successo, le telefonate ed i messaggi dei miei pochi ma veri amici mi esaltano ancora di più e mi ritrovo così a chiedermi se fossi diventato un vero campione, o almeno un podista di un livello importante. Ripensando poi al sabato precedente, quando ho percorso il tragitto fino a Faenza in automobile dopo essermi ritirato alla 100 Km del Passatore, mi passano davanti agli occhi le immagini degli atleti eccezionali che avevo avuto la fortuna di osservare. La leggerezza della russa Irina Pankovskaya, la classe di Monica Carlin, l’incredibile energia sprigionata da Giorgio
Calcaterra sono per me punti di riferimento evidentemente inavvicinabili. Chiaramente non posso che ritenermi un podista dilettante, forse esagerando potrei definirmi appena discreto, ma nulla più. Io non saprò mai che sensazione si provi a correre velocemente ed elegantemente come quei campioni, a vincere corse di livello internazionale e a ricevere ricchi premi. Credo però che sia difficile superare l’emozione provata nell’abbraccio scambiato con mio padre all’arrivo, un abbraccio silenzioso di mille parole, di qualche secondo appena, fra due uomini stremati ma felici che insieme superano i cento anni di età, in un sabato sera, in mezzo ad un paese in festa.
Matteo Luzzi

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